La sentenza del TAR del Veneto pubblicata ieri in merito al ricorso di Costa Bioenergie verso l'ordinanza comunale di remissione in pristino diramata il 9 maggio 2017 riguardo il deposito di gpl in Val da Rio, e che accoglie le istanze dell'impresa fidentina rigettando quelle del Comune e del comitato, continua a far parlare di sé. Innanzitutto per le motivazioni: il Tribunale ha ritenuto fondati i rilievi di Costa scaricando tutto sulla precedente amministrazione clodiense e sui ministeri, dal momento che il Comune -nel corso del procedimento e nelle sedute della Conferenza di servizi datata 2014- non aveva sollevato alcuna obiezione alla realizzazione del deposito e pertanto, essendo lo stesso ente quello competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, quest'ultima deve intendersi acquisita.
Secondo la Corte, l’eventuale omissione del rilascio del parere della Sovrintendenza o della commissione per la Salvaguardia di Venezia possono infatti tutt’al più integrare i vizi della procedura, ma non possono giustificare l’affermazione secondo la quale mancherebbe in radice l’autorizzazione paesaggistica. Il Comune aveva e ha tuttora l’obbligo di acquisire il parere della commissione di Salvaguardia, al fine del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, e la mancata acquisizione del parere della commissione deve ritenersi una responsabilità del Comune. In tal senso vige il decreto del Presidente della Repubblica n.327 del 2001, per la concentrazione e semplificazione amministrativa, che detta come l'autorizzazione ministeriale sostituisce -anche ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici- ogni altra autorizzazione, concessione, approvazione, parere, assenso e nulla osta previsto dalle norme.
L’eventuale illegittimità del decreto di autorizzazione avrebbe potuto essere fatta valere solo mediante un’impugnazione del medesimo, che non è tuttavia avvenuta tempestivamente: dichiarato inammissibile il ricorso diretto del Comune al Capo dello Stato, anche l'impugnazione del Comitato per il Rilancio del Porto è avvenuta fuori tempo massimo. Il TAR sancisce che il Comune di Chioggia avrebbe potuto compiere tre atti per acquisire i documenti paesaggistici mancanti: riaprire l'istruttoria non ancora conclusa nel 2015, limitare l'efficacia dell'autorizzazione agli aspetti non paesaggistici, agire in autotutela revocando il provvedimento previa convocazione di una nuova Conferenza di servizi.
In tale contesto, scrive il TAR, “è evidente che un’eventuale lesione dell’interesse di carattere primario alla tutela del paesaggio di cui all’art. 9 della Costituzione non deriverebbe dalla norma di legge, ma dal difettoso esercizio delle potestà amministrative dell’amministrazione procedente, con conseguente manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata. Il decreto autorizzativo del Ministero dello Sviluppo Economico n. 17407 del 26 maggio 2015 deve ritenersi sostitutivo di ogni altra autorizzazione anche ai fini urbanistici ed edilizi nonché paesaggistici, pertanto l’autorizzazione ministeriale costituisce un atto ormai consolidato ed inoppugnabile”. A corollario, il Comune aveva impugnato anche la proroga di due anni concessa dal Ministero a Costa Bioenergie, ma anche questo ricorso è stato nei giorni scorsi respinto dal TAR di Venezia, nella stessa seduta che ha accolto quello di Costa.
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